VI Seminario multidisciplinare sulla narcolessia

VI Seminario multidisciplinare sulla narcolessia

1 Dicembre 2019 0 Di La Redazione

La patologia è rara quanto subdola, soprattutto in età infantile. Sonnolenza diurna e perdita del tono muscolare i sintomi principali, frequenti anche allucinazioni e cadute.

 

Giuseppe Plazzi

La narcolessia è una malattia rara e difficile da diagnosticare. Anche se, paradossalmente, i sintomi di questa patologia sono molto semplici da riconoscere, spesso vengono sottovalutati o suggeriscono altre diagnosi. La narcolessia, infatti, si manifesta attraverso una sonnolenza diurna particolare; chi ne è affetto, nel corso della giornata fa sonnellini brevi e ristoratori, durante i quali spesso sogna, con il rischio di avere subito dopo delle allucinazioni: pur essendo episodi di sonno brevi, le persone narcolettiche raggiungono rapidamente la fase Rem, che invece generalmente compare dopo una o due ore di sonno. In Italia, la narcolessia colpisce circa 4 persone ogni 10mila abitanti: i pazienti a cui è stata diagnosticata e trattata la patologia sono circa mille, nonostante la stima approssimativa di un sommerso di circa 24mila casi. La narcolessia viene scambiata per epilessia, psicosi, schizofrenia, depressione, disturbi del movimento o altro. Oltre al problema delle diagnosi errate, c’è quello del ritardo diagnostico, confermato dai risultati di numerose ricerche. I due centri europei più all’avanguardia per la cura e la ricerca sulla Narcolessia sono l’Università di Bologna e quella di Montpellier. Proprio a Bologna si è tenuta sabato 30 novembre, all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Biochimica Giovanni Moruzzi, il VI Seminario “Diagnosi e Trattamento Multidisciplinare della Narcolessia. Confini, evoluzione e trattamento delle ipersonnie nell’adulto e nel bambino” organizzato dal Professor GiuseppePlazzi, docente di Neurologia presso l’Università di Bologna, presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (Aims) e responsabile del Centro di Medicina del Sonno dell’Ircs – Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna.

La narcolessia in età pediatrica è diversa da quella in età adulta. Anzitutto, nei bambini la sonnolenza può più facilmente essere scambiata come svogliatezza, scarso rendimento, ma anche irritabilità. Il punto che fino ad oggi ha costituito una discrepanza nell’approccio alla malattia tra adulti e bambini è stato quello dei criteri diagnostici. Per i primi, gli specialisti erano già concordi su due parametri: la polisonnografia notturna e il test delle latenze multiple dell’addormentamento (Mslt). Questi strumenti consentono di individuare una particolare velocità di addormentamento, sintomo di una sonnolenza patologica e caratteristica principale della narcolessia: nel paziente narcolettico, infatti, l’addormentamento avviene direttamente in fase Rem, quella dei sogni, che invece compare normalmente dopo una o due ore. Per l’età infantile non si aveva certezza sulla validità dell’utilizzo dei medesimi criteri.

“Il lavoro realizzato dall’Università di Bologna e di Montpellier, pubblicato nel 2019 sulla rivista Neurology, organo della American Academy of Neurology, ha dimostrato che anche per il bambino si possono adottare gli stessi strumenti utilizzati nell’adulto, ossia la polisonnografia notturna e il test delle latenze multiple dell’addormentamento (Mslt)), con criteri numerici solo leggermente modificati – sottolinea il professor Plazzi – Sino ad oggi, in assenza di criteri validati, anche in ambito pediatrico venivano utilizzati per analogia quelli dell’adulto, seppure con molte perplessità circa la loro validità. Il lavoro pubblicato su Neurology risolve ogni dubbio e ambiguità, stabilendo nuovi parametri limite per il bambino e l’adolescente. Questo passo è di grande rilevanza, anche alla luce del grande ritardo diagnostico della narcolessia, una malattia che per lo più insorge in età infantile o adolescenziale e viene identificata in media dopo circa 15 anni dall’esordio dei sintomi”.

Oltre al rapido raggiungimento della fase Rem, una fondamentale caratteristica della narcolessia è la cataplessia: un fenomeno scatenato da emozioni positive come pianto, riso, gioia, e caratterizzato dalla perdita del tono muscolare soprattutto al viso, dove si manifesta con un evidente abbassamento delle palpebre e che, se generalizzata, può provocare anchela perdita di equilibrio, far cadere un oggetto dalle mani, fino alla caduta a terra. Esistono due tipi di narcolessia nella classificazione internazionale dei disturbi del sonno: quella con deficit di ipocretina o orexina (un peptide che ha nomi diversi ma indica la stessa molecola), che nel 99,9% dei casi è associata a cataplessia, e quella senza bassi livelli di orexina, che invece è sempre senza cataplessia. Nel bambino piccolo, sotto i 10 anni, prevale la narcolessia con cataplessia. Il bambino con narcolessia e cataplessia è diverso dall’adulto, anzitutto nell’aspetto motorio: la cataplessia non è scatenata esclusivamente dal riso, ma la condizione di mollezza e di perdita di tono muscolare può essere continua, fino ad arrivare ad una tipica espressione del viso definita “faccia cataplettica”. Da qui un’attenzione particolare ai bambini.

“L’Università di Bologna, in collaborazione con la medicina nucleare dell’Università di Modena, ha pubblicato sulla rivista Neurology una ricerca svolta su un grosso numero di pazienti pediatrici. Per la prima volta, vengono rivelate le conseguenze della cataplessia pediatrica tramite risonanza magnetica cerebrale funzionale. I dati hanno mostrato le aree cerebrali che si attivano nel corso della risata e della risata associata a cataplessia: la scoperta più significativa è che durante la risata l’attivazione all’interno del cervello della zona incerta e del nucleo subtalamico blocca la cataplessia. Questo risultato potrà in futuro aprire nuove possibilità terapeutiche per la cataplessia” evidenzia il professor Plazzi.

Il 2019 ha visto il consolidamento del trattamento della narcolessia. L’Italia si è collocata a livello europeo fra le nazioni con il maggior numero di farmaci correttamente registrati a disposizione dei pazienti con narcolessia.

“Tuttavia, per quanto riguarda l’accessibilità, resta il problema che in Italia due su tre di questi farmaci sono ancora in fascia C, cioè teoricamente a pagamento– aggiunge Plazzi. – Inoltre, per il bambino, i farmaci ufficialmente accettati vengono dati fuori indicazione, anche se sia l’agenzia americana Fda che l’Ema hanno da poco registrato il primo di questi farmaci e tra poco ne seguiranno altri. Questa situazione genera un paradosso: la narcolessia è una malattia rara e i pazienti avrebbero diritto a curarsi gratuitamente. Tuttavia ciò non avviene in tutti i casi, anche a causa di una prassi burocratica molto pesante che a volte scoraggia sia il medico che il paziente”.