Violenza tra giovani e baby gang (III parte)

Violenza tra giovani e baby gang (III parte)

17 Settembre 2020 0 Di Teresina Moschese*

La degenerazione minorile si sta consumando su tutto il territorio italiano. Cosa sta succedendo? Chi sono questi ragazzi?

 

Teresina Moschese

Cosa si può fare allora per aiutarli?

Ci sono diversi livelli di intervento.

  1. Il primo è in qualità di genitori interessati di figli coinvolti in una banda. Se ci accorgiamo che nostro figlio/a agisce anche solo qualcuna delle situazioni riportate, dovremmo attivarci per trovare una soluzione alle sue difficoltà. Le manifestazioni aggressive sottendono sempre una scarsa autorevolezza della famiglia e quindi il primo passo è di ripensare al modo di essere genitori e di educare nostro figlio/a. Ci si può far aiutare da psicoterapeuti esperti in terapia familiare ad identificare e affrontare i nodi relazionali disfunzionali della famiglia e a trovare strategie educative utili a riprendere il ruolo di adulti autorevoli, non autoritari, né lassisti, unendo a ciò un intervento di terapia cognitivo- comportamentale individuale per il ragazzo/a. L’azione combinata di entrambe le terapie è fondamentale se si parte dalla prospettiva che il minore non è un oggetto da aggiustare, ma parte di un sistema relazionale familiare da riequilibrare. Pertanto, la famiglia non può esimersi dalle sue responsabilità. I ragazzi hanno bisogno di un’educazione socio-affettiva che li aiuti a sviluppare empatia nei confronti degli altri in modo che possano imparare che ci si può relazionare ai pari e agli adulti con sensibilità, senza “perdere di valore”, ma anzi guadagnando la possibilità di arricchirsi grazie al confronto con persone ritenute diverse da sé. I genitori in questo hanno un ruolo fondamentale ed è inopportuno da parte loro, come accade fin troppo frequentemente, minimizzare l’atto violento, in un automatico processo di legittimazione dello stesso.

Può capitare, di sovente, che i nostri figli siano coinvolti quali spettatori involontari in episodi di violenza a scuola e in strada. È molto importante che il gruppo di spettatori possa sviluppare un senso di responsabilità globale, imparando a reagire in modo corretto, senza dover subire le prevaricazioni e le prepotenze, né diventare omertosi e, quindi, complici, e, nello stesso tempo, proteggersi dal rischio di esserne vittima. Apriamo un dialogo con i nostri figli, cerchiamo di esplorare i rischi da loro percepiti per strada, se anche a loro, quando escono in gruppo, capita di imbattersi in queste baby gang, quali sono gli eventuali avvenimenti antecedenti ad un possibile scontro, riflettere con loro, da soli, ma anche coinvolgendo il gruppo di amici, su quali reazioni possono mettere in atto a tutela della loro sicurezza. Le baby gang, come detto, agiscono sempre in gruppo ed hanno ruoli predeterminati. Può essere utile, quando i nostri figli escono in gruppo, aiutarli a darsi anche loro dei ruoli e dei compiti in caso di attacco, tra cui ad esempio quello di chi scappa a chiedere aiuto, allertando le autorità e le persone per strada, in modo da scoraggiare imminentemente il proseguire dell’attacco, o il ruolo di chi, sempre fuggendo, si nasconde in un punto non visibile agli altri e riprenda con il cellulare l’attacco stesso. Tutti dovrebbero essere in grado di difendersi anche fisicamente frequentando corsi di autodifesa personale. Questo faciliterà subito l’individuazione dei responsabili e l’attivazione delle misure opportune.

 

  1. Il secondo intervento che si può attuare è la sinergia tra la famiglia e la scuola. Come genitori abbiamo il diritto di chiedere la collaborazione dei docenti e il dovere di supportare tutte le iniziative volte alla promozione del benessere dei ragazzi attraverso progetti di prevenzione di fenomeni di violenza. Infatti, in tal senso, la scuola ha un ruolo importante nell’aiutare gli studenti ad allenarsi a diventare emotivamente competenti, attraverso un insegnamento “illuminato” fondato sull’ascolto attivo e l’empatia, sul riconoscimento delle tonalità affettive degli alunni mentre apprendono, aiutandoli a dare loro un nome ed alleandosi con il loro vissuto. Sono molto utili allo scopo i progetti inclusivi di educazione alle emozioni e di dialogo con le famiglie, in cui l’obiettivo è la responsabilizzazione dei ragazzi, attraverso la possibilità di imparare a mettersi nei panni degli altri, di sviluppare la propria capacità autoriflessiva e di regolazione delle emozioni e quindi del comportamento, di mediazione del conflitto, di comunicazione funzionale delle proprie emozioni negative, di potenziamento della stima di sé sia per chi agisce l’aggressività, sia per chi fa da spettatore, sia per chi la subisce.
  2. Certamente, da sole famiglia e scuola non possono farcela, c’è bisogno di un terzo intervento di comunità sul territorio, perché è lì che questi ragazzi fragili agiscono. Gli Enti locali, le Forse dell’Ordine, organizzazioni comunitarie e religiose è fondamentale che siano al fianco della scuola e della famiglia a contenere l’aumento del disagio minorile. Partendo dall’osservazione sistematica dei comportamenti inquietanti che le bande locali esibiscono per poi passare a sviluppare un piano d’azione appropriato che coinvolga più attori della comunità con una presenza e una vigilanza costanti nelle strade delle nostre città e con progetti di riqualificazione degli spazi urbani a destinazione di servizi socio-educativi anche attraverso l’intervento di animatori di strada per la supervisione dei giovani.

*Psicologa-psicoterapeuta familiare