Relazioni fra cellulari e tumori cerebrali

Relazioni fra cellulari e tumori cerebrali

12 Agosto 2019 0 Di La Redazione

L’istituto superiore di sanità ha recentemente presentato il Rapporto Istisan “Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”.

Lo studio mira a rispondere, con criterio rigorosamente scientifico, alle domande sulle possibili relazioni fra radiofrequenze e neoplasie. Nel 2011 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato le radiofrequenze nel gruppo 2B (possibili cancerogeni). La ricerca più recente rafforza o indebolisce il sospetto che l’uso del telefono cellulare aumenti il rischio di alcuni tumori cerebrali? Il documento, è stato curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Susanna Lagorio, Iss; Laura Anglesio e Giovanni d’Amore, Arpa-Piemonte; Carmela Marino, Enea; Maria Rosaria Scarfì, Cnrirea) ed è indirizzato agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale.

La ricerca parte di considerazioni preliminari. A cominciare da quella per cui l’esposizione personale a Rf dipende dai livelli di campo nei luoghi in cui si svolge la vita quotidiana, dal tempo trascorso nei diversi ambienti e dalle emissioni dei dispositivi utilizzati a stretto contatto. Gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. La distanza da sorgenti fisse ambientali non è un buon indicatore del livello di Ri all’interno di un’abitazione perché molte antenne sono direzionali e le Rf sono schermate dalla struttura degli edifici e da altri ostacoli naturali. Gli impianti WiFi hanno basse potenze e cicli di lavoro intermittenti cosicché, nelle case e nelle scuole in cui sono presenti, danno luogo a livelli di Rf molto inferiori ai limiti ambientali vigenti. La maggior parte della dose quotidiana di energia a Rf deriva dall’uso del cellulare. L’efficienza della rete condiziona l’esposizione degli utenti perché la potenza di emissione del telefonino durante l’uso è tanto minore quanto migliore è la copertura fornita dalla stazione radio base più vicina…

La relazione tra uso del cellulare e incidenza di tumori nell’area della testa è stata analizzata in numerosi studi epidemiologici pubblicati nel periodo 1999-2017. La meta-analisi di questi studi non rileva alcun incremento del rischio di neoplasie maligne (glioma) o benigne (meningiomi, neuromi acustici, tumori dell’ipofisi o delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) del cellulare. I risultati relativi al glioma e al neuroma acustico sono eterogenei.

Rispetto alle evidenze disponibili al momento della valutazione della Iarc, le stime di rischio per l’uso prolungato del cellulare considerate in questa meta-analisi sono più numerose e più precise, perché basate su un maggior numero di casi esposti. Inoltre, le analisi più recenti dei trend d’incidenza dei tumori cerebrali coprono un periodo di quasi 30 anni dall’introduzione dei telefoni mobili. La validità dei risultati degli studi epidemiologici su cellulari e tumori rimane incerta. Un intero capitolo del rapporto è dedicato alle sorgenti di distorsione più rilevanti e al loro impatto sui risultati. In generale, gli studi di coorte sono immuni dai bias di partecipazione e del ricordo tipici degli studi caso-controllo e perciò nelle valutazioni di rischio viene loro assegnato un valore informativo superiore. I dati attuali non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici a più lenta crescita e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia.

Gli studi in corso (Cosmos, MobiKids, GERoNiMo) contribuiranno a chiarire le residue incertezze. L’ipotesi di un’associazione tra Rf emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, non appare confermata dagli studi epidemiologici con dati individuali e stime di esposizione basate su modelli geospaziali di propagazione. Evidenze sperimentali di cancerogenicità in numerosi studi effettuati su diversi modelli animali, nell’insieme, non mostrano evidenza di effetti cancerogeni dell’esposizione a Rf, né effetti di promozione della cancerogenesi da agenti chimici o fisici. Due studi di co-esposizione hanno osservato un aumento del rischio di tumore polmonare in un particolare ceppo di topi femmine (B6C3F1) che richiede ulteriori approfondimenti. Un recente studio del National Toxicology Program (Ntp) ha rilevato un incremento del rischio di tumori maligni delle guaine nervose nel cuore (schwannomi cardiaci) tra i ratti maschi (Sprague-Dawley) alla dose più elevata (6 W/kg), ma non neiratti femmina o neitopi (B6C3F1/N). Anche lo studio dell’Istituto Ramazzini ha osservato un aumento dello stesso tumore nei ratti maschi con l’esposizione più elevata (50 V/m, equivalenti a 0.1 W/kg), ma non tra le femmine. In entrambi gli studi, i livelli di esposizione ai quali si osservano effetti sono molto più elevati di quelli rilevabili in ambiente nonché dei limiti stabiliti dalla normativa nazionale.

Per quanto riguarda gli studi sperimentali su sistemi biologici isolati, la maggioranza degli studi disponibili non evidenzia danni al Dna a seguito dell’esposizione a Rf. In particolare, nella maggior parte degli studi non si osservano associazioni tra esposizione a RF e frequenza di aberrazioni cromosomiche o micronuclei (indicatori di danno permanente al Dna), mentre alcune indagini hanno riscontrato alterazioni della migrazione del Dna, anomalie del fuso mitotico e della formazione di foci (tutti indicatori di danno genetico transitorio e riparabile). La maggior parte delle indagini che hanno esaminato endpoint non correlati alla genotossicità non ha evidenziato effetti dell’esposizione a RF, ad eccezione di alcuni studi che hanno osservato effetti prevalentemente reversibili. Il numero di studi sulle co-esposizioni a RF e ad agenti chimici o fisici è limitato, i risultati sono variabili e non direttamente estrapolabili. Valutazioni successive concordano nel ritenere che le evidenze relative alla possibile associazione tra esposizione a Rf e rischio di tumori si siano indebolite e non richiedano modifiche all’impostazione degli standard di protezione correnti. L’OMS sta attualmente preparando un aggiornamento della valutazione di tutti i rischi per la salute da esposizione a radiofrequenze.